lunedì 9 maggio 2011

Al tempo di Pasqua in Occitania - 3. Fuga sulle montagne

Piasco, 26/4/2011

La zona ai piedi delle Valli Occitane, pur presentando importanti valori storico-artistici ed alcuni pregevoli lembi di campagna, è stata oggetto di interventi residenziali e produttivi che l’hanno in parte snaturata. Come i valdesi perseguitati in quanto eretici ed i partigiani nell’Italia occupata dai tedeschi, cerchiamo rifugio attraverso la fuga sulle montagne.

Dopo aver fatto spesa di miele, nocciole e frutta da un produttore locale a Rossana risaliamo un tratto di Val Maira. Raggiungiamo Villar San Costanzo e da qui la Riserva Naturale dei Ciciu del Villar, singolari fenomeni erosivi che si presentano sotto forma di grossi funghi di terra sormontati da massi di gneiss (la leggenda però sostiene che si tratti di legionari romani che inseguivano San Costanzo, il quale pensò bene di pietrificarli per punirli).


“L’Occitania è l’unica nazione che ha sempre avuto le porte aperte” dice Sergio Berardo, cantante dei Lou Dalfin (gruppo che ha rivisitato la tradizione musicale occitana in chiave folk-rock), presentando un brano dell’album live Al temps de festa en Occitania. “Infatti l’abbiamo sempre preso nel culo, però noi siamo contenti lo stesso”. E’ questa la natura del popolo occitano? O è quella che emerge dal film Il vento fa il suo giro – nel quale i Lou Dalfin fanno una comparsata – interamente girato in Val Maira? La pellicola parla di diffidenza nei confronti dello straniero, un discorso che certo il regista Giorgio Diritti non voleva circoscrivere agli abitanti di questa vallata ma che assume valore universale. L’idea di chiusura potrebbe venire semplicemente guardando la carta geografica: molte di queste valli sono cieche o comunicano tra di loro tramite strette stradine; poche portano effettivamente in quella Francia che da qui sembra più un’idea situata al di là delle cime innevate delle Alpi, ma che pure è in stretto rapporto di vicinanza con esse.


Ecco Dronero: alla vista del Ponte del Diavolo siamo conquistati e ci fermiamo a fare due passi. Scattiamo un po’ di foto, mentre una giovane donna di passaggio ci guarda sorridendo. Leggo in quel sorriso una punta d’orgoglio per chi, di passaggio, ha saputo cogliere la bellezza poco conosciuta di questa valle alpina.

Passando per Montemale di Cuneo raggiungiamo la Val Grana. E’ questa la più selvaggia delle valli attraversate finora. Incrociamo pochissime auto lungo la strada che costeggia il Grana, tra boschi e rocce che a tratti restringono improvvisamente la vallata. Dopo una lunga salita il Santuario di San Magno ci accoglie come un abbraccio, col suo singolare contrasto tra le pietre chiare e le colonne e l’ingresso in colori vivaci. Ci troviamo a 1761 metri d’altezza e la vista sulla Val Grana è impareggiabile. Percorriamo il porticato che gira tutto intorno al santuario; dietro l’abside c’è un piccolo cimitero. Mi soffermo davanti alle lapidi di alcuni morti in giovane età. Strano pensare alla morte da qui: non riesco ad immaginare lo strazio del distacco, come se l’incredibile energia del posto avesse un potere consolatorio anche sul dolore.

Scendiamo per la vallata facendo tappa a Pradleves. Le locandine attaccate ai muri promuovono le feste con musiche occitane delle prossime settimane. Leggiamo anche il nome di Sergio Berardo. Danze e musiche tradizionali di queste vallate hanno giocato un ruolo importante nel mantenimento dell’identità occitana.

Rientriamo a Piasco più presto del previsto, così risaliamo un tratto di Val Varaita, finché non troviamo un posto adatto per riposare un po’ prima di cena.

La giornata si conclude con un buon bis di primi (ravioli del plin al ragù e ravioles della Val Varaita) accompagnati con del Dolcetto d’Alba. Ritorniamo alla nostra camera accompagnati dai fulmini che illuminano ad intermittenza le sagome delle vette della Val Varaita.

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